BIBLIOTECA MULTIMEDIALE

In quest’area potrete trovare articoli, documenti e video di approfondimento e di archivio sul Metodo Venturelli e su argomenti affini, con una bibliografia di riferimento.

Per iniziare vi proponiamo una serie di interessanti articoli riguardanti la scrittura a mano.

BUONA LETTURA!

Report dal convegno “Scrivere a mano nel Terzo Millennio. Ricerche, analisi e prospettive di intervento” che ha visto la partecipazione di oltre 400 insegnanti, tutor dell’apprendimento, formatori, rieducatori della scrittura, esperti e genitori

Come prevenire la disgrafia

Senza carta e penna…

Senza carta e penna si rischiano problemi per lo sviluppo dei bambini

Le nuove tecnologie e l’informatica in generale ci sembrano l’unico futuro possibile, un futuro pieno di possibilità e miglioramenti. L’uomo può solo crescere e continuare ad andare oltre, e i computer saranno dei validi aiutanti in questo percorso. Ma è davvero così? I computer sono sempre e incondizionatamente utili o qualche volta possono essere dannosi? Ovviamente la risposta giusta è la seconda, e oggi capiremo perché senza carta e penna si rischiano problemi per lo sviluppo dei bambini.

Gli studi

Su questo argomento negli anni sono stati portati avanti molti studi sia psicologici sia nell’ambito delle neuroscienze. La maggior parte di questi evidenzia le forti differenze che si possono riscontrare fra bambini che scrivono a tastiera e quelli che lo fanno manualmente. I secondi nell’atto della scrittura attivano più aree del cervello, e di conseguenza scrivono più velocemente e hanno più idee. Al contrario la scrittura al computer attiva meno aree cerebrali e in maniera molto più debole rispetto a chi usa manualmente carta e penna. Scopriamo quindi il perché di questi risultati e quali conclusioni si possono trarre.

L’utilità di carta e penna

Senza carta e penna si rischiano problemi per lo sviluppo dei bambini. La scrittura è infatti una prima forma di ragionamento, che ci aiuta a capire, riordinare e creare. Tracciare segni è un’azione istintiva che fin dall’antichità gli uomini compiono per potersi esprimere appieno. Il nostro “io” quando scriviamo, ma anche quando disegniamo o prendiamo appunti, è libero di manifestarsi senza costrizioni né limiti.  Tutti questi tipi di attività richiedono coordinazione oculo-manuale, capacità di orientamento del foglio e in generale la pianificazione e l’esecuzione di varie azioni. La scrittura manuale è utile anche quando non è precisa, questo perché la sua decifrazione implica un ragionamento e un confronto di elementi che aiuta a imparare.

Tutti questi elementi permettono, come evidenziato dagli studi, di attivare più aree del cervello per svolgere le varie funzioni di cui abbiamo bisogno. Questo procedimento contribuisce in maniera significativa allo sviluppo di un bambino. Per esempio prendere appunti manualmente durante una lezione permette un’assimilazione e una comprensione dei contenuti molto più profonda e duratura rispetto a quando si usa il computer. Per questo l’uso del solo computer (a esclusione dei DSA, che non vanno inclusi in questo discorso) rischia di limitare le potenzialità creative dell’individuo. I computer quindi non si dovrebbero usare sempre e comunque, ma solo quando permettono di migliorare o di raggiungere nuovi risultati.

Bambini e natura

I bambini hanno bisogno di più natura e meno tecnologia

Le cose che il bambino ama rimangono nel regno del cuore fino alla vecchiaia. La cosa più bella della vita è che la nostra anima rimanga ad aleggiare nei luoghi dove una volta giocavamo.
Khalil Gibran

Un tempo l’ambiente naturale ci circondava, ci nutriva, con i suoi ritmi ci guidava, con le sue leggi ci insegnava. Gli adulti erano più tranquilli e lasciavano molta libertà ai bambini che potevano correre e giocare liberi per boschi. I bambini si riunivano naturalmente in gruppi misti di diverse età, i più grandi si prendevano cura dei più piccoli e i piccoli imitavano e imparavano dai grandi.

Il contatto con l’ambiente naturale era garantito perché l’ambiente naturale coincideva con l’ambiente di vita.

Gli effetti dell’ambiente naturale sul bambino

I bambini hanno un gran bisogno di muoversi, meglio se in un ambiente ricco di stimoli e sfide. La natura, infatti, accresce le nostre capacità sensoriali, che sono il primo e più importante strumento di autodifesa. Se i nostri figli vivono a stretto contatto con la natura, imparando a vedere il mondo direttamente, avranno maggiori possibilità di sviluppare le capacità psicologiche di sopravvivenza che li aiuteranno ad individuare il vero pericolo, sarà di conseguenza meno probabile che vedano pericoli dove non ci sono.

Giocare nella natura può infondere un’istintiva fiducia in sé stessi.

Studiando esperienze negative come lo stress o il deficit di attenzione, si è visto come l’ambiente naturale, rispetto all’ambiente costruito, produce un maggior numero di cambiamenti psicologici nei confronti del rilassamento, ad esempio quello muscolare o della diminuzione della pressione sanguigna, ed una grande riduzione di sensazioni negative quali la paura, la rabbia, la tristezza. L’ambiente naturale garantisce una maggiore efficacia nel mantenimento dell’attenzione e più alti livelli di esperienze di benessere, interpretato quest’ultimo come sensazione di fascino, di abbandono, di sentirsi in armonia, di sentirsi un tutt’uno. Molti bambini sembrano trarre beneficio dallo stare all’aperto. Non solo lo stare all’aperto è piacevole, ma la ricchezza e la novità delle sensazioni stimolano lo sviluppo delle funzioni cerebrali. La conoscenza è radicata nella percezione e lo stare a contatto con la natura è la prima fonte di percezione.

 

Un altro beneficio a lungo termine è che il bambino, se messo in condizione di godere di numerose esperienze positive all’aperto, con la guida di idonei modelli di comportamento, può imparare ad avere cura dell’ambiente.

I bambini sono fiori da non mettere nel vaso: crescono meglio stando fuori con la luce in pieno campo.
Con il sole sulla fronte e i capelli ventilati: i bambini sono fiori da far crescere nei prati.

Roberto Piumini

L’allontanamento dalla natura: cosa provoca.

Il numero degli statunitensi adulti in soprappeso è cresciuto di più del 60% tra il 1991 e il 2000. Fra il 1989 e il 1999 si è verificato un incremento pari al 36% dei casi di soprappeso nella fascia di età compresa fra i 2 e i 5 anni. E due giovani americani su dieci sono obesi. Questo valore si è quadruplicato alla fine degli anni Sessanta. Negli Stati Uniti i ragazzi tra i sei e gli undici anni trascorrono più di quaranta ore alla settimana davanti alla televisione o al computer. Il tempo trascorso guardando i programmi televisivi è direttamente correlato ai livelli di grasso corporeo. Le malattie cardiache e gli altri effetti negativi dell’inattività dei giovani si manifestano solitamente dopo diversi decenni. Si è però notato che la mancanza di movimento produce un altro risultato, questa volta immediatamente documentabile, ovvero la depressione dei bambini.

Un’infanzia sedentaria condotta tra le quattro mura domestiche comporta problemi mentali.

Quasi otto milioni di bambini statunitensi soffrono di disturbi mentali e l’ADHD è uno dei più diffusi.  I ragazzi affetti da questa sindrome sono irrequieti ed hanno difficoltà nel prestare attenzione, nell’ascoltare, nel seguire indicazioni e nel concentrarsi sui compiti loro affidati. I pazienti potrebbero essere aggressivi o addirittura antisociali e potrebbero avere problemi in ambito scolastico. Nuovi studi suggeriscono che il contatto con la natura può ridurre i sintomi del disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) e può migliorare le capacità cognitive e la resistenza agli stress negativi e alla depressione nei bambini.

Richard Louv, educatore americano, ha fondato il sito internet per la tutela dell’infanzia “Connect for Kids” e pubblicato il libro “L’ultimo Bambino nei Boschi” che vi invito a leggere riguardante il rapporto tra bambini e natura.

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I bambini vivono attraverso i sensi. Le esperienze sensoriali collegano il mondo esterno a quello interiore, nascosto e affettivo. L’ambiente naturale è la fonte principale della stimolazione sensoriale e, quindi, la libertà di esplorare e giocare con esso attraverso i sensi è essenziale per lo sviluppo sano della vita interiore. Questo tipo di rapporto, nato spontaneamente e autonomo, viene chiamato “gioco libero”. I singoli bambini si mettono alla prova interagendo con l’ambiente, attivando il loro potenziale e ricostruendo la cultura umana. Il contenuto dell’ambiente è un fattore cruciale in questo processo. Un ambiente ricco e aperto fornirà sempre delle valide alternative alla creatività, mentre uno chiuso e privo di attrattive limiterà la crescita e l o sviluppo del singolo individuo o del gruppo.
 
 

Fonte: L’importanza del CONTATTO con la natura per lo SVILUPPO COGNITIVO e RELAZIONALE del bambino a cura del: Dott. Federico Cipparone Formatore, Psicologo dello Sviluppo e dell’Educazione Esperto in Outdoor Education & Training.

I Bambini Devono Ritornare A Lavorare Con Le Mani

“Il lavoro delle mani

Viviamo in un’epoca in cui i bambini sono particolarmente desti nel pensiero, ma le loro mani dormono e quando c’è da dipanare una matassa o attaccare un bottone, incapacità e malavoglia si intrecciano e ingarbugliano matassa e filo. Certo, non si deve più tagliare la legna per riscaldarsi o accendere una candela per farsi luce, basta schiacciare un bottone; ma i bottoni sono diventati sempre più numerosi e le dita sono diventate abilissime nel trovare il tasto giusto!
Le comodità ci circondano, i nostri pensieri sono quotidianamente stimolati , ammiriamo volentieri opere d’arte, ma quella spinta all’agire, quell’impulso ad intraprendere, la nostra volontà insomma si è comodamente appisolata davanti al fascino della tecnologia e alla esorbitante ricchezza di prodotti finiti.La necessità di usare le mani pare cosa d’altri tempi!
Eppure, proprio perchè i pensieri si risvegliano vitali, ricchi di immaginazione,chiari e liberi sarà bene che prima i bambini imparino a pensare con le mani.Possiamo portare loro il lavoro a maglia già in prima classe ;allora, intrecciando il filo sui ferri, l’attenzione sarà tesa a non perdere un punto. Così una maglia unita all’altra con movimento ritmico, formerà un “tessuto”;tessuto che può essere considerato come  l’immagine fisica del processo del pensiero, non a caso si parla del “filo del pensiero”.
La meraviglia dei bambini si legge nel loro sguardo ogni volta che sperimentano, ogni volta che iniziano o finiscono un lavoro. Più avanti, quando la freschezza di un pensiero autonomo verrà sviluppata dai ragazzi, se ne potranno trovare le radici proprio là, nel lavoro con le mani, che possiede anche il dono di rafforzare la capacità di giudizio.”
Testo di Adriana Todeschini ne “Il Quadernone 2018” Scuola Steineriana via Clericetti 45, Milano. 

Queste parole ricordano molto quelle di Maria Montessori, per la quale lo sviluppo delle capacità manuali equivaleva allo sviluppo dell’intelligenza. La tecnologia ha sicuramente apportato delle migliorie nella vita di ognuno di noi, ma ha tolto anche molto rispetto alla capacità di interazione con gli altri, di utilizzare le proprie mani per creare ciò che si è pensato, immaginato, disegnato.

Bisognerebbe riappropriarsi del sano desiderio di soddisfazione del “L’ho fatto io!”.

La società della fretta, del “tutto e subito”,in cui viviamo ormai da tempo, non permette ai bambini di avere degli spazi di noia, tempo in cui stimolare la propria fantasia. Il pensiero divergente, ovvero la capacità di produrre una serie di soluzioni alternative ad un dato problema, in particolare nei problemi che non prevedono un’unica soluzione, si sta perdendo sempre più velocemente. Ai bambini vengono offerte soluzioni predefinite, create da una mente adulta, dove la fantasia lascia spesso spazio alla logica, perciò non è concesso uno spazio di discussione: “Si fa così.”

Il bambino il più delle volte si adegua, segue quello che l’adulto dice, soprattutto se è l’insegnante, e perde così la possibilità di sviluppo non solo del pensiero divergente, ma anche del pensiero critico. Ciò che viene stabilito non si può cambiare, l’unica soluzione giusta è questa, tanto vale che ti sforzi a trovarne altre. Un danno permanente di cui vedremo gli effetti tra qualche anno, quando quei bambini saranno a loro volta adulti e non saranno in grado di vedere soluzioni alternative a problemi che gli si presenteranno davanti, che non saranno abituati a pensare con la loro testa e che si affideranno al famigerato “si è sempre fatto così!”. Il loro cervello non avrà la plasticità necessaria a porsi domande, formulare nuove ipotesi, andare a cercare altre risposte a quelle preconfezionate. E adulti non pensanti non sono sinonimo di evoluzione. E’, non solo importante, ma fondamentale dare stimoli ai bambini affinchè sviluppino un loro pensiero critico, la capacità di non accontentarsi di idee altrui, ma di osservare, pensare, valutare e, solo dopo, scegliere quale strada intraprendere.

La libertà di pensiero e di parola è un diritto che non possiamo permetterci di perdere. 

In riferimento dunque a quanto scritto, è necessaria una riflessione anche sui materiali offerti ai bambini. Lavori di vita pratica, di manualità fine aiuteranno il bambino ad esercitare la concentrazione, la coordinazione oculo-manuale, la raffinatezza e l’economia dei movimenti; materiali destrutturati (loose parts) e uno spazio pittorico lasciano al bambino la possibilità di creare ed esprimere una parte di sè, di ritrovare il proprio equilibrio; il materiale sensoriale studiato e creato da Maria Montessori aiuta il bambino a veder materializzati dei concetti che altrimenti sarebbero astratti, nonchè all’autocorrezione.  E’ un materiale assolutamente stupefacente, che arricchisce l’autostima, stimola la conoscenza,la curiosità, ci si confronta con l’errore e si impara a superarlo.

Da non dimenticare il contatto quotidiano con la natura. Montagna, collina, pianura o mare, la cosa importante è USCIRE. Stare all’aperto, giocare liberamente, sperimentare, toccare, fare esperienze. La natura è una grande maestra, non si può privare i bambini di un’ insegnante così spettacolare. Le stagioni non si imparano sulle schede, anche perchè, come disse un altro grande insegnante, Paolo Mai: “Ad Ostia l’inverno non è con la neve!”  Perciò le stagioni bisogna viverle sulla pelle, uscendo ogni giorno, con la pioggia o con il sole, perchè non esiste cattivo tempo, ma solo un abbigliamento inadeguato!

Se poi ci fosse un contatto quotidiano con gli animali ,abbiamo fatto bingo!Essi insegnano ai bambini come comunicare senza bisogno di parole, la cura verso un altro essere vivente, la diversità come arricchimento, come conoscenza del mondo.

Le mani sono uno strumento potentissimo di conoscenza di sè e del mondo! I bambini devono poterle utilizzare fin da piccolissimi e per tutta la loro vita. L’esperienza porta alla conoscenza! Diamo al bambino motivo di lavoro ed egli ci stupirà con la dedizione, la curiosità, la concentrazione. Sarà un meraviglioso spettacolo! Lo vedrete lì, così piccolo ma così instancabile, che sarà per voi un esempio di come andrebbe svolto un lavoro: con passione, dedizione, gioia, concentrazione… per uscirne poi felici, soddisfatti e rilassati.

“La mano è quell’organo fine e complicato nella sua struttura, che permette all’intelligenza non solo di manifestarsi, ma di entrare in rapporti speciali coll’ambiente: l’uomo, si può dire, “prende possesso dell’ambiente con la sua mano” e lo trasforma sulla guida dell’intelligenza, compiendo così la sua missione nel gran quadro dell’universo.” M.Montessori  

Educatrice Manuela Griso

Cosa sono i disturbi specifici di apprendimento

L’uso della tecnologia da 0 a 6 anni

Guida all’uso della tecnologia da 0 a 6 anni

Ogni cosa ha il suo tempo: è uno dei princìpi fondamentali della pedagogia. Vediamo come applicarlo all’uso della tecnologia nei bambini piccoli

Daniele Novara, pedagogista
Bambino piccolo davanti a uno smartphone

I passaggi della vita vanno rispettati ed ecco allora qualche indicazione operativa per affrontare le sfide che il digitale ci pone per quanto riguarda i bambini più piccoli.
Fra le tante indicazioni operative che sono state date ai genitori negli ultimi anni condivido pienamente quelle esposte recentemente dallo psichiatra e psicanalista Serge Tisseron, ricercatore dell’Università di Parigi ed esperto delle relazioni dei giovani e delle famiglie con Internet.

Da 0 a 3 anni: schermi vietati

L’infanzia non ha bisogno di videoschermi, non ha bisogno di una realtà virtuale. Prima dei 3 anni un bambino necessita di sviluppare competenze interagendo con l’ambiente attraverso esperienze sensoriali che utilizzino tutti e cinque i sensi. Solo questa interazione esperienziale consente di sviluppare le proprie risorse neuronali. È stato dimostrato che anche solo una televisione accesa nella stessa stanza dove un bambino piccolo sta giocando ne disturba l’attività, impedendo di sviluppare quella capacità di concentrazione attentiva così importante per il suo futuro. Scrive Goleman su «Focus»:

«L’attenzione – in tutte le sue varietà – rappresenta una risorsa mentale poco considerata e sottovalutata, ma che riveste un’importanza enorme rispetto al modo in cui affrontiamo la vita. […] ci mette in connessione con il mondo, plasmando e definendo la nostra esperienza». Secondo i neuroscienziati Michael Posner e Mary Rothbart l’attenzione ci fornisce quei meccanismi che stanno alla base della nostra consapevolezza del mondo e del controllo volontario dei pensieri e delle emozioni.
Il touch screen non è una vera esperienza sensoriale: c’è una superficie liscia che attiva stimoli visivi. Molti studi documentano un rapporto diretto tra la durata dell’esposizione agli schermi e le conseguenze sull’attenzione di bambini e ragazzi. Un bambino piccolo che fruisce di un’ora di TV al giorno, è a rischio di sviluppare deficit di attenzione due volte superiore a chi non la guarda. [1]

Per approfondire l’argomento, in questo articolo parliamo di come dovrebbe avvenire la fruizione dei cartoni animati da parte dei bambini.

Occorre allora, soprattutto in questa fascia d’età, che i genitori curino i propri comportamenti. Non può funzionare il farsi vedere assorbiti dalla televisione, da un computer o da un telefono cellulare, magari talmente distratti da non accorgersi neanche dei richiami dei figli. In quell’età i bambini sono molto inclini all’imitazione: se ci vedranno perennemente con in mano il telefonino ne vorranno uno.

Da 3 a 6 anni: il tempo delle regole

L’infanzia è il tempo delle regole, che non sono imposizioni ma procedure educative per regolare il tempo e lo spazio comune. Mettiamo delle regole chiare, trasparenti, essenziali. È inutile sgridare i nostri figli perché passano le ore davanti ai videogiochi quando siamo noi ad averceli messi. La comunità scientifico-pedagogica internazionale su questo fronte è compatta: in questa fascia d’età mezz’ora di videoschermi al giorno è più che sufficiente, e l’accesso a Internet è vietato. Questa è una fase importante per sviluppare alcune capacità collegate all’immaginazione o alla motricità fine e per implementare le competenze relazionali e sociali.
È ora che si può imparare a litigare bene con successo, anche dopo è possibile, certamente, ma man mano diventa più difficile. Occorre privilegiare le esperienze dirette, la manipolazione, l’interazione relazionale. I bambini litigano? Certo! È quello il loro compito evolutivo. Imparare a stare insieme, ad accettare la frustrazione e a far emergere le risorse creative di cui, in questa età così plastica, sono incredibilmente dotati. Non lasciate che si anestetizzino davanti ai videoschermi, permettetegli di stare all’aria aperta, a contatto con la natura, di fare esperienze corporee e mentali nuove. Il loro futuro ne trarrà immenso vantaggio.

PER APPROFONDIRE
Calmare un bambino con il cellulare

 

Calmare un bambino col cellulare gli impedisce di apprendere a calmarsi da solo

Calmare un bambino col cellulare gli impedisce di apprendere a calmarsi da solo

Il titolo dice quasi tutto ma è bene ribadire un po ‘quello che sta succedendo. Ci sono padri e madri che si sentono così incapaci di calmare il proprio bambino da usare caramelle elettroniche: il cellulare. È un modo di dire al bambino: “Crediamo che tu non possa fare altro che prendere il trattamento per essere calmo. In questo modo ci lasci soli e ti mostriamo di nuovo che non puoi intrattenere o calmarti. ”
Il bambino potrebbe rispondere: “Non mi hai insegnato”. Immagina che questo ragazzo si chiama Pepe, ha 4 anni e va dal medico per un mal di pancia. Ricordiamo tutti, forse quelli con meno di 25 anni, non come i bambini di un paio di decenni fa che prendevano un paio di auto molto piccole, che si adattavano alle loro mani, per giocare continuamente con loro nell’ufficio del dentista.

Sotto lo sguardo di mamma o papà
La madre, che non aveva preso il cellulare perché non era molto diffuso come oggi, lo guardava più o meno attentamente ma le sorrideva ogni volta che il bambino cercava l’approvazione nei suoi occhi. La madre, con un’espressione di acquiescenza, applaudì il gioco e il bambino continuò a giocare nel mare della contentezza. Quindi il bambino è entrato nell’ufficio del pediatra e così tante novità lo hanno lasciato estasiato.

I passeggini in miniatura tornarono alla borsa della madre e il bambino lasciò l’ufficio  felice.  E se i passeggini lo stancavano, prendeva un foglio e alcune matite dalla borsa (un po ‘come Mary Poppins) e metteva il bambino a disegnare.

Ali all’immaginazione
Attualmente, al bambino non viene insegnato a casa a fare alcune cose vitali. A Pepe non viene insegnato a giocare, a raccontarsi storie da raccontare.Il ragazzo due decenni fa era in grado di raccontarsi molte cose. E in quel discorso interno il ragazzo è stato in grado di darsi ordini: “Ora devo giocare che mi piace molto”. E quello stesso discorso interno serviva a disegnare storie autentiche su un foglio bianco.
Cosa è successo Bene, la madre, il padre, avevano proposto diverse volte molti giochi a casa, edifici, varie bambole che erano popolate o libri di belle illustrazioni che il bambino guardava o leggeva numerose volte per dare alla storia una versione ogni volta nuova.

Ora il ragazzo è a casa e non sa giocare. Non ha imparato. Ma Pepe sa che gli piacciono i disegni accelerati di SpongeBob o le canzoni orecchiabili fino alla fine di Baby Shark. È quello che ci si aspetta da questo bambino? È quello che ci si aspetta da un bambino che, tra i 2 e i 6 anni, svilupperà la sua conoscenza del mondo, della realtà, dell’ambiente attraverso il gioco, per orientarsi nell’aula della scuola elementare?

Questo bambino non gioca: è uno spettatore passivo che senza quelle chicche non sa come fare – mi permetta di essere un po ‘crudo – quasi nulla. Cosa faceva quella madre indolente – mi scusi l’aggettivo – o stanca che aveva anche la televisione accesa a tutte le ore quando Pepe giocava con 2 anni con le bambole il mare di simpatia che i suoi nonni le avevano regalato? Bene, quello che ha fatto, senza cattive intenzioni, senza saperlo, è stato quello di interrompere un gioco incipiente che con un po ‘di sforzo familiare Pepe avrebbe potuto far piacere a Lego.

I benefici del gioco
(E faccio pubblicità consapevolmente perché questo marchio universale dimostra che oggi è ancora possibile giocare. Fai sapere al lettore che Lego è un gioco che prevede una grande conoscenza dello spazio, delle sue dimensioni, degli equilibri delle forze e quindi del calcolo e della matematica) .

Il bambino di due anni stava ancora manipolando quelle bambole, ma dopo così tante ore di televisione a casa, il ragazzo abbandonò quello che ormai reputava come giocattoli insipidi e si piantò sul divano davanti alla TV guardando tutto ciò che veniva proposto rannicchiato accanto a sua madre O forse da solo. E così ha rinunciato ai primi eventi di gioco.

La madre o il padre non hanno spento la TV e il bambino è diventato un personaggio fermo e sbalordito a tre anni. Quando dovette mangiare i suoi genitori gli diedero contemporaneamente cellulare e mela per “facilitare” l’assunzione e quando dovette andare a dormire Pepe si rifiutò di farlo e cadde come un sasso in TV alle 11 di sera o forse prima il tablet “Mi è stato detto che è interattivo e che educa molto”. Il bambino è affascinato ma non impara a calmarsi Il tablet non educa, affascina, tiene impegnati e il bambino non impara ad autoregolarsi. A meno che non sia usato molto occasionalmente con i genitori che eseguono le app più appropriate e limitano il tempo totale dello schermo a non più di un’ora al giorno da tre anni. E quando esce a mangiare o va dal pediatra Pepito sa già che quando si annoia, la madre estrae il cioccolato dalla borsa. E i due nuoteranno con i loro rispettivi telefoni cellulari in un altro mondo. L’autoregolamentazione del bambino è per dopo. Naturalmente, le lezioni elementari di Pepe, se sei diventato davvero un grande consumatore di telefoni cellulari, TV e tablet, saranno piatte e stancanti. E forse sarà confuso perché la sua capacità di fissare l’attenzione è diminuita al minimo. L’insegnante dirà che è un bambino movidito e che forse ha l’ADHD. Ma non ha nulla di tutto ciò. Forse devi educarlo. Amico lettore, ti prego di prendere questo articolo come una storia che potrebbe metterti in evidenza. Il tono non è stato morbido, ma forse era necessario esprimere in questo modo per spiegarsi meglio.

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Scrittura a mano o digitale: cosa perdono le nuove generazioni

Scrittura manuale e corsivo sono ancora importanti

Perché oggi è ancora importante utilizzare la scrittura manuale e lo stile corsivo?
Cosa perdono le generazioni digitali nello smettere di scrivere a mano?

La scrittura manuale è un processo lungo e complesso che investe, coinvolge ed integra abilità motorie, linguistiche, visuo-percetttive, attentive, emotive, di memoria e strategia anticipatrice che si organizzano attraverso la collaborazione dell’emisfero sinistro per le elaborazioni verbali e dell’emisfero destro per le elaborazioni spaziali.

Con la rivoluzione informatica e la digitalizzazione inizia il cambiamento, un cambiamento in particolare all’interno della scuola, che sta portando alla perdita della scrittura a mano, ritenuta una disciplina obsoleta ed inutile.

Una scuola che una volta era fatta di penne e matite, mentre ora è diventata una piattaforma di tastiere elettroniche e altri dispositivi.

Test di scrittura manuale coi bambini

Benedetto Vertecchi, professore emerito di Pedagogia all’Università Roma Tre, a capo di un gruppo di studio sui bambini e la scrittura manuale, spiega il risultato di numerosi test eseguiti, dove viene dimostrato che scrivere a mano aumenta enormemente la capacità di usare il linguaggio. Scrivendo con la penna sul foglio di carta, il pensiero si esprime in modi più riflessivi che utilizzando altri mezzi, oltre ad apportare effetti positivi sulla motricità fine, poiché un bambino che tiene correttamente una matita saprà allacciarsi le scarpe ed usare correttamente le posate.

Scrivere con carta e penna costituisce un’esperienza completamente diversa dallo scrivere su una tastiera: innanzitutto, il contatto fisico con il foglio di carta, su cui l’avambraccio scivola, è una forma di azione come strumento di conoscenza e interazione con l’ambiente; anche la postura, la giusta prensione dello strumento grafico sono un modo di percezione del sé, dello stare per poi agire, del condurre il gesto grafo-motorio che avanza nello spazio, nel mondo, lasciando una traccia di sé.

Il movimento frenetico e convulso con cui si digita sui tasti, non rende invece il senso dell’avanzare e priva lo scrivente di sensazioni e percezioni, elementi distintivi della scrittura a mano, caratterizzata da “lentezza creativa” che permette di valorizzare il tempo.

Quali direttive dà il Ministero dell’Istruzione sulla scrittura manuale

Dobbiamo quindi parlare di fallimento delle diverse agenzie educative?  

Ad oggi mancano delle direttive precise da parte del Ministero dell’Istruzione sul metodo di insegnamento della scrittura, generando dubbi e confusione tra gli addetti ai lavori.

La perdita della scrittura manuale, sofisticata funzione intellettiva e specchio distintivo del nostro essere come persone, è qualcosa di grave. Scrivere usando la nostra grafia ci rende unici e qui si entra nella spinosa questione del corsivo. Tra esperti che discutono e si dividono in favorevoli e contrari, le numerose ricerche compiute evidenziano che utilizzando lo stile corsivo si contribuisce al corretto sviluppo di abilità motorie, favorendo la coordinazione, la fluidità del movimento e la capacità di modulare la pressione della penna sul foglio; essendo inoltre uno stile difficile da imitare,  si limita il rischio di falsificazioni di manoscritti; permette una scrittura scorrevole e veloce; essendo uno stile legato, nei bambini con difficoltà di lettura aiuta a prevenire l’inversione delle lettere poiché favorisce la percezione della parola come entità a sé stante; contribuisce alla costruzione identitaria nella fase adolescenziale.

Semi-analfabetismo o evoluzione digitale

 

Molti ragazzi sono praticamente incapaci di scrivere in corsivo.
Anni fa, questa condizione sarebbe stata definita come “semi-analfabetismo”, attualmente è la conseguenza di scelte ideologiche di esperti che hanno deciso di abbandonare l’insegnamento tradizionale di questo stile per rendere l’apprendimento più facile e veloce.

Ma è proprio così?

Scrittura a mano ed utilizzo dello stile corsivo sono invece un patrimonio da custodire e conservare, contro la distribuzione incondizionata e spesso poco ragionata di strumenti compensativi che ne limitano o peggio, eliminano l’impiego; rappresentano due forme di comunicazione non alternative, ma complementari, idealmente destinate a coesistere ed integrarsi tra loro. 

Un uso mirato, consapevole di entrambe, può permettere l’acquisizione di nuovi percorsi comunicativi, di apprendimento, capaci di sfruttare sia le potenzialità offerte delle nuove tecnologie sia di non perdere le funzioni esclusive connesse alla scrittura manuale.

Rita Bimbatti, Pedagogista Clinico, Sociologa della Salute, Educatore della Scrittura

Galimberti: professori devono essere simpatici, coinvolgenti. Max 15 alunni

L’intelligenza emotiva è una componente fondamentale nello sviluppo della psiche umana ed è una chiave per comprendere l’altro. Questa valutazione dovrebbe essere tenuta in considerazione anche nelle attività di formazione dei docenti.

Un interessante intervento sulla balbuzie e l’importanza di guardare le cose da un’altra prospettiva